Sintomi ossessivi associati a traumi precoci

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 25 maggio 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Proseguendo la rassegna degli studi in corso di pubblicazione sul disturbo ossessivo-compulsivo, focalizziamo la nostra attenzione sull’associazione fra traumi psichici precoci e sviluppo della sintomatologia ossessiva, un legame suggerito già in passato da molte osservazioni non sistematiche. Naturalmente, le nozioni neuroscientifiche di cui disponiamo attualmente ci proteggono dal rischio di seguire ipersemplificazioni erronee in materia di eziologia, e ci ricordano che le stesse condizioni fenomeniche di stress o trauma nella nostra specie possono determinare reazioni e quadri fisiopatologici diversi, indicando l’importanza della genetica e dell’epigenetica nella definizione del tipo di manifestazioni cliniche.

Mediante studi su grandi numeri, condotti in molti paesi diversi, è risultato chiaro che i sintomi ossessivo-compulsivi nei giovani sono comuni, si caratterizzano come una gamma eterogenea di manifestazioni, ed è stato dimostrato che sono associati a stati psicopatologici anche gravi. L’esposizione a trauma in età precoce è statisticamente associata ad un accresciuto rischio di sviluppo del disturbo ossessivo-compulsivo, ma non si comprende il rapporto con le differenti espressioni sintomatiche, né finora si è riusciti a spiegare la connessione clinica con forme di disturbo psicopatologico grave. Barzilay e colleghi di un team del Children’s Hospital di Filadelfia e dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia hanno valutato, per affrontare questi problemi, l’associazione tra TSE (traumatic stressful events), sintomi ossessivi e disturbi psichiatrici rilevanti in una comunità di giovani.

(Barzilay R. et al., Association between early-life trauma and obsessive-compulsive symptoms in community youth. Depression and Anxiety - Epub ahead of print doi: 10.1002/da.22907. May 8, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Lifespan Brain Institute of CHOP and UPenn, Department of Child and Adolescent Psychiatry and Behavioral Sciences, Children’s Hospital of Philadelphia, Pennsylvania (USA); Department of Psychiatry, Neuropsychiatry Section, Perelman School of Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, Pennsylvania (USA).

Riprendiamo l’introduzione che abbiamo proposto tre settimane fa alla recensione di uno studio circa l’influenza culturale sui sintomi ossessivi:

Emil Kraepelin, nel quarto volume del suo celebre trattato di psichiatria, data al 1860 le prime osservazioni psicopatologiche sul comportamento ossessivo[1] ma, come riporta Sandor Rado nell’edizione italiana dello storico American Handbook of Psychiatry diretta da Silvano Arieti[2], si dovrà attendere Sigmund Freud per la precisa definizione di un’entità clinica denominata nevrosi ossessiva. Da quel momento in poi, e fino a tempi recenti, il paradigma interpretativo impiegato dal fondatore della psicoanalisi si fonde nella cultura psichiatrica con gli elementi oggettivi e costanti che costituiscono la forma dello psichismo e i sintomi del disturbo, consolidando una concezione erronea della genesi dei processi psichici associati alla sofferenza del paziente, come si può verificare con la lettura della descrizione del quadro clinico nella lezione 17 dell’Introduzione alla Psicoanalisi.

L’acuta capacità di analisi, l’abilità descrittiva e narrativa, associata ad un’intelligenza creativa non comune, hanno consentito a Freud di elaborare testi che, oltre ad avere il pregio di attagliarsi alla fenomenica emergente e a quanto riferito dai pazienti affetti dal disturbo, forniscono spiegazioni plausibili e per certi aspetti convincenti dell’origine psicodinamica dei sintomi, nell’ambito di un presunto arresto dello sviluppo libidico allo stadio anale. Nel corso dei decenni, con l’entrata di alcune chiavi di lettura psicoanalitiche nella cultura popolare e con il diffondersi delle interpretazioni psicodinamiche dei sintomi anche grazie agli stessi pazienti che le hanno divulgate, si è andata affermando la convinzione generale di una genesi psicologica delle ossessioni, dei comportamenti rituali, degli atti di annullamento, delle formazioni reattive e di tutte le altre manifestazioni.

Ancora oggi, che in psichiatria si è abbandonato da molto tempo il modello patogenetico psicodinamico e si vanno delineando con sempre maggiore precisione le basi neurobiologiche e neurofunzionali del disturbo ossessivo-compulsivo, esistono psicologi e psicoterapeuti che continuano a impiegare quel paradigma. Lo stato attuale delle conoscenze suggerisce il determinarsi, per effetto di fattori genetici, di un condizionamento funzionale che squilibra i rapporti fra sistemi neuronici che mediano singoli processi psichici, causando la produzione dei sintomi. L’iperfunzione del sistema di segnalazione dell’errore e l’uscita dal controllo a feedback di circuiti che sono spenti quando un atto materiale o mentale è stato compiuto, possono spiegare le ripetizioni di azioni[3] e le reiterazioni del pensiero[4]. Naturalmente, il profilo delle alterazioni neurobiologiche che influenza la fisiologia cerebrale opera all’interno di una dimensione psicologica delle dinamiche mentali, che si fa responsabile della complessa fenomenica intrapsichica e comportamentale che caratterizza ciascuna delle persone affette dal disturbo.

L’abbandono dell’ipotesi eziopatogenetica psicodinamica ha accresciuto l’interesse per il ruolo dei fattori ambientali nella formazione dei sintomi. In particolare, l’influenza della cultura è un oggetto privilegiato di osservazione, anche se spesso gli studi condotti in questo campo soffrono di limiti metodologici e non hanno un definito quadro teorico di riferimento per declinare la psicologia culturale”[5].

È opportuno tener conto anche di questi aspetti della cultura psichiatrica in rapporto al disturbo ossessivo-compulsivo, per una migliore contestualizzazione dello studio qui recensito:

“La convinzione dell’origine del disturbo ossessivo-compulsivo dalla personalità ossessiva aveva creato degli stereotipi descrittivi che sono stati oggetto di caratterizzazioni letterarie, teatrali e cinematografiche del passato, quale l’inglese con bombetta e ombrello, formale[6], ordinato, introverso, ostinato, metodico, abitudinario, caparbio, meticoloso, pignolo, cavilloso, puntuale, esigente, estremamente logico e razionale ma con alcune eccezioni, talora celate o dissimulate, quali credere in particolari superstizioni o accettare possibilità irrazionali.[7] Le differenze culturali facevano apparire solo in parte diverso, per stile ed aspetto, l’ossessivo delle città dell’Europa meridionale, magari con una più accentuata propensione per fisime rupofobiche e patofobiche, ma con la stessa tendenza al controllo, ad azioni di annullamento, a precauzioni e ripetizioni eccessive.

L’errore consisteva nel ritenere che il disturbo ossessivo-compulsivo fosse uno sviluppo patologico di quello stile di personalità e, pertanto, potesse verificarsi solo negli ossessivi. Per decenni si sono considerati eccezioni, o semplicemente sono stati trascurati, tutti quei casi in cui i pensieri ossessivi e i comportamenti compulsivi comparivano in persone estroverse, informali, superficiali, disordinate, estemporanee e poco inclini alla sistematicità. Eppure, proprio in costoro i sintomi risultavano più evidenti perché in contrasto con stile, carattere e temperamento della persona.

Più in generale, mentre in passato si riteneva che la nevrosi fosse espressione di uno scompenso dell’adattamento fisiologico che normalmente segue lo stile di personalità di ciascuno e così le nevrosi isterica, fobica e ossessivo-compulsiva rappresentassero la condizione patologica delle personalità isterica, fobica e ossessivo-compulsiva, oggi il vincolo della struttura di personalità per l’analisi della formazione dei sintomi è scomparso e, dunque, scontate le ragioni neurobiologiche, il ruolo dell’ambiente culturale nel modellamento del comportamento patologico assume un interesse proporzionalmente maggiore. Inoltre, si deve sottolineare che, a differenza del passato quando lo studio dell’influenza culturale era focalizzato sullo stile del comportamento, oggi si indaga particolarmente la possibile azione della cultura sulla struttura dei sintomi”[8].

Il lavoro di Barzilay e colleghi è stato condotto su un amplissimo campione costituito dalla Philadelphia Neurodevelopmental Cohort (N = 7054; età: 11-21; 54% di sesso femminile e 52% in età prepubere) che è stata valutata per gli effetti in tutta la vita di TSE (traumatic stressful events) e per la presenza e la tipologia di sintomi ossessivo-compulsivi. L’associazione è stata indagata con modelli di regressione cross-sectional, impiegati anche per studiare il rapporto con le psicosi, la depressione e l’ideazione suicidaria. I modelli hanno stimato gli effetti del sesso e della pubertà, controllandoli per l’età e lo status socioeconomico.

Di seguito, si sintetizzano i risultati.

L’esposizione al trauma era associata a frequenze più alte di sintomi ossessivi, specialmente nelle ragazze (Trauma x Sex interaction Wald = 7.93, p = 0.005) e in prepubertà (Trauma x Puberty interaction Wald = 7.68, p = 0.006). Il TSE era associato a tutte le manifestazioni ossessivo-compulsive, ma in modo più stretto si associava a cattivi pensieri intrusivi (odds ratio = 1.63). I TSE da aggressione, particolarmente da aggressione sessuale, hanno presentato un’associazione più forte con i sintomi ossessivi, rispetto ai TSE non aggressivi. Mentre i TSE e i sintomi ossessivi erano indipendentemente associati a psicosi, depressione e ideazione suicidaria, un’interazione significativa è stata osservata solo per la frequenza della psicosi (Trauma x OCS interaction Wald = 5.08, p = 0.024).

Si è dimostrato un rapporto fra TSE e manifestazioni ossessive secondo un criterio proporzionale all’entità del trauma, che gli autori hanno descritto con la metafora farmacologica dell’andamento dose-dipendente; tale caratteristica era prevalente nelle femmine prepuberi. L’associazione TSE-sintomi variava per carico, tipo di trauma e sottotipo sintomatologico.

I risultati di questo studio, oltre a confermare l’indipendenza dei sintomi ossessivi da un’organizzazione di personalità unica e particolare, indicano i modi e le caratteristiche di un’influenza dello stress traumatico sullo sviluppo dei sintomi ma, allo stesso tempo, rimandano alle ragioni dell’endofenotipo quale condizione necessaria, anche se verosimilmente non sufficiente, per la tipologia delle manifestazioni.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-25 maggio 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Kraepelin E., Psychiatrie, Vol. 4, p. 1823, Barth, Leipzig, 1915.

[2] Arieti S. (a cura di), Manuale di Psichiatria in 3 voll., vol. I, p. 339, Boringhieri, Torino 1985.

[3] Ripetizioni che avvengono secondo costruzioni coscienti create sul bisogno inconsapevole di ripetere: ad esempio, lavarsi le mani un certo numero di volte tali da garantire – secondo la frequente razionalizzazione del paziente – una sicurezza igienica. Il numero delle ripetizioni, assimilato alle pratiche di “pensiero magico dell’ossessivo” secondo il modello psicoanalitico, potrebbe semplicemente derivare da un’esperienza di spegnimento del circuito iperattivo, e con questo della spinta ad agire, dopo un dato numero di reiterazioni.

[4] Una base neurofisiologica alterata, in cui manca il feedback negativo che dovrebbe spegnere il circuito che avvia l’ideazione, potrebbe portare alla rielaborazione indefinita che fa apparire il paziente dubbioso. Freud afferma: “… il dubbio si insinua nel campo intellettuale, e a poco a poco corrode anche ciò che abitualmente è più certo. Il tutto sfocia in una sempre crescente indecisione, mancanza di energia, limitazione della libertà” [Freud S., (1915-17) Introduzione alla Psicoanalisi, Universale Scientifica Boringhieri, N. 39/40, Torino 1969].

[5] Note e Notizie 04-05-19 Confronto fra sintomi ossessivi di due culture diverse.

[6] Secondo l’interpretazione psicoanalitica, l’ossessivo stacca l’affetto dalla rappresentazione (meccanismo dell’isolamento dell’affetto) con la conseguenza dell’adesione formale ad uno stile di rigorosa correttezza comportamentale che, associato a una gentilezza che si suppone originata per formazione reattiva, caratterizza un agire cortese ma sempre un po’ distante.

[7] Si parlava di “pensiero magico dell’ossessivo” nella semeiotica di impronta psicoanalitica.

[8] Note e Notizie 04-05-19 Confronto fra sintomi ossessivi di due culture diverse.